Andrea Chiesi, ideatore, in disegno e pittura, di architetture meta-reali, investe la sua intensa carica pulsionale nel ricostruire, visionariamente, strutture abbandonate, riconsegnando loro una vita subliminale. Affiorano, nella sua opera, radici alimentate, in anni giovanili, da una controcultura Punk e post Punk, quando disegnava fumetti e fanzine per liberare, creativamente, le sue ossessioni.
Davanti all‘irrefrenabile vena produttiva di questo artista, pur se, nel tempo, sempre più riflessivamente cadenzata, vien fatto di chiedersi se la fase iniziale della sua opera scaturisca più da una sua urgenza estetica o da una “colonna sonora” generazionale, a partire anche dalle sue intense frequentazioni di centri sociali, figure poetico-letterarie outsider, locali musicali underground di connotazione punk, new wave, dark. Pensabilmente, le due urgenze di Chiesi artista convergono in una scelta che si trasforma nel segno gestuale, formalmente organizzato, di fermi-immagine in sequenze virtualmente filmiche. Accanto all’interazione mimetica tra fotografia e rappresentazione pittorica del reale, trova un suo spazio anche il dispositivo narrativo, non del tutto estinto, della fase fumettistica.
A giudicare dall’imponenza della letteratura critica, di segno impegnato, sulla sua opera, e dal ricorrente riferimento di certi suoi topoi – architetture industriali abbandonate – ai gasometri, torri di raffreddamento, altiforni, ciminiere, fabbriche, silos, abitazioni, cavalcavia, della coppia di artisti Bern e Hilla Becher, si potrebbe pensare che i coniugi tedeschi e Andrea Chiesi lavorino in una stessa direzione. Ragionando in termini di differenza/ripetizione, mentre i Becher restituiscono, in un rigoroso bianco e nero, un paesaggio di presenze anonime con un linguaggio catalogatorio “inespressionista”, per usare un termine celantiano, freddamente concettuale, deprivato di pathos in quanto ritagliato dal contesto, Chiesi restituisce protagonismo – nelle sue varianti del blu, del grigio Payne, nella scala dei verdi tra cui il permanente scuro, nella dominante luttuosa del nero – anche alle erbacce, alla pavimentazione dissestata, ai tralci vegetali invasivi, all’ossidazione dei metalli, al vissuto della rovina, in quanto micro o macrocosmo vitale.
Nasce il 6 novembre 1966 a Modena, vive e lavora San Pancrazio (Mo).
Si forma frequentando la scena della controcultura punk e della musica indipendente della prima metà degli anni Ottanta.
In questo ambiente culturale esordisce lavorando come disegnatore per diverse pubblicazioni indipendenti ed esponendo in centri sociali.
In questo primo periodo realizza delle opere su carta con inchiostri nero violacei in cui appaiono personaggi, figure e ambienti legati sotto vari aspetti a quel mondo che frequentava direttamente.
Successivamente ha sviluppato una ricerca sul paesaggio contemporaneo, sul tempo e la memoria attraverso una pittura a olio su tela rigorosa e attenta, che tende a volte a esaltare i soggetti industriali o del paesaggio urbano, oppure a creare forti contrasti in bianco e nero con rapidi passaggio dall’ombra alla penombra. L’attività del disegno con la tecnica dell’inchiostro viene portata avanti parallelamente alla pittura ad olio, creando un contrasto tra un universo liquido e in movimento e un altro più strutturato, metafisico, atemporale.