Federica Marangoni, a cinquant’anni dal suo esordio nel mondo dell’Arte, intitola lapidariamente ENIGMA la personale progettata per la Galleria c|e contemporary, a Milano. Il mitico termine deriva dal greco αἴνιγμα che, a sua volta, riconduce al verbo αἰνίσσομαι, che significa parlare in modo oscuro ricorrendo a quesiti insolubili, sibillini, affacciati sulla soglia di un responso ad alto rischio. La risposta, per lo spettatore, è insita nell’opera stessa dell’artista, nei suoi dispositivi di opacità o trasparenza, di oscurità o di luce, di consunzione nel relitto o di restituzione nella memoria, nella parola, nel silenzio. Un progetto forte questo della mostra ENIGMA, che si confronta costruttivamente con la fatidica maledizione cinese “possa tu vivere in tempi interessanti” ― che ha intitolato la 58. Biennale di Venezia, del curatore inglese Ralph Rugoff. Riferimento particolarmente significativo oggi, in avanzati tempi di pandemia, in cui quel titolo suona come una profetica premonizione. Quel falso anatema considera, tuttavia, interessanti i tempi in cui la recessione e la crisi non possono non risvegliare potenziali energie reattive e creative. ENIGMA, mostra site specific, segue, storicamente, la mega-installazione The leading Thread/Il filo conduttore al Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Ca’ Pesaro, a cura di Gabriella Belli – che ha accompagnato, nel 2015, l’Esposizione Internazionale d’Arte All the World’s Future della 56. Biennale di Venezia — e anticipa, nel Nuovo Padiglione del Museo ex Conterie veneziane, ancora a cura di Gabriella Belli, l’evento espositivo Federica Marangoni – Guardando al futuro – Mostra antologica e 50 anni con Murano, nonché la prossima grande rassegna alla Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, diretta da Stefano Campagnolo, Memory: the Light of Time, a cura di Roberta Semeraro e Viana Conti. La mostra, dinamicamente e otticamente articolata sulla triangolazione di concetti come motion-emotion-motivation, muove, ineludibilmente, dal centro focale di Mirroring Memory/Memoria specchiante, l’opera che riconduce alla dimora (das Heim) in cui si vive, luogo del Perturbante freudiano in cui familiarità ed estraneità non cessano di avvicendarsi in un soggetto spaesato, a livello subliminale, tra ritrovamenti e smarrimenti. Davanti ad una casa, ipodimensionata, in perspex nero lucido, dal tipico tetto spiovente, lo spettatore viene invitato ad appoggiare lo sguardo sul buco della serratura, come in una Wunderkammer. Lo scenario che gli si apre è il cosiddetto Effetto Droste, tanto caro a Escher, cioè di una fuga prospettica ricorsiva di tracce luminose azzurre, dalla proporzione alterata, in successione potenzialmente infinita: inquietante la sovrascritta in rosso (das) Unheimliche/Il Perturbante, nella lingua tedesca di Sigmund Freud, autore nel 1919 del libro omonimo. La componente Motion è ricorrente, nell’opera di Federica Marangoni, sia in diretta che nella video-proiezione o nella scrittura manuale in progress sulla parete. Ulteriore rinvio alla dimensione spazio-temporale è documentato dalle sue performance storiche in presenza, come The Box of Life al Centrovideoarte di Ferrara nel 1979, The Interrogation al MoMA di New York del 1980, Straphangers c/o Inroads Multimedia Art Center di New York, del 1981. Tra artefatto materico e flusso immateriale, le figure del paradosso e dell’ossimoro si presentano nell’opera di Federica Marangoni nell’assumere l’oggetto libro come la luce della memoria e insieme l’indifferenza dell’oblio. In vetro e neon il libro è fonte luminosa della conoscenza, in ferro ossidato è espressione residuale di un vissuto intriso, tuttavia, di memorie. È la memoria, infatti che globalizzata e fragile ritorna in neon azzurro, come motivation di fondo, a riattivare pagine di una vita consumata e riattivata vivendo. Slittante tra Venezia e New York, una storia quella di Federica Marangoni consegnata allo sguardo, all’immaginario, all’appartenenza a un territorio che si identifica nel suo deterritorializzarsi dal piano dell’orizzonte a quello della mente, per ritrovarsi nell’album scompaginato di un risplendente, caleidoscopico, archivio dei ricordi.
testo: Viana Conti