Materia e memoria
articolo a cura di Maurizio Barberis
La mostra “On the Road 1970-2024. Non solo vetro” a cura di Chiara Squarcina e Federica Marangoni ripercorre fino al 24 novembre la lunga carriera dell’artista e designer veneziana Federica Marangoni, focalizzandosi sul suo speciale rapporto con il vetro e con Murano, dai primi lavori con questo materiale a oggi. In tutti questi anni l’artista ha sperimentato di- versi materiali e media tecnologici, spaziando in modo eclettico e interdisciplinare verso tutti i settori della comunicazione e affiancando al suo percorso di scultrice l’attività di designer. Un percorso, questo, che si snoda lungo cin- quant’anni di intenso lavoro, sintetizzato dai due materiali che costituiscono il fil rouge del suo operare artistico: il vetro e la luce. Il vetro, materia opaca che nasce dal fuoco e dal fuoco riceve nitore e trasparenza, una leggerezza vir- tuale che solo i grandi maestri muranesi rie- scono a tradurre in opera vivente. La luce, ma- teria prima da cui tutto è generato, si declina nel suo lavoro attraverso tre differenti modali- tà: l’immagine luminosa della video art, rac- conto per immagini che fa della memoria ele- mento strutturante, la flebile e docile forma del neon, segno primario dall’arte degli anni ’80, e infine la scrittura che consente alla luce di farsi segno significante, poesia visiva permeata di luce. La materia si fa scrittura, la scrittura im- magine e l’immagine memoria. D’altro canto che cos’è un’immagine senza memoria? Solo forma o forse neppure quella. Un’accozzaglia di segni che l’occhio dell’uomo non riesce a tra- durre in visione. Memoria prima, che ci con- sente di distinguere le cose in base alla nostra esperienza, memoria biologica, che ci fa muo- vere nel ricordo di esperienze comuni, e infine memoria creativa, che attinge al grande serba- toio dell’anima mundi per trasformare la luce in esperienza creativa. Così, percorrendo le sale del museo muranese, abbiamo la percezio- ne di un percorso compatto, definito dai limiti di un operare votato alla memoria del Sé. Una memoria dell’immanenza, del presente, del passato e una premonizione del futuro, an- ch’essa memoria, che rende giustizia al tempo dell’uomo, superficie assoluta, un punto all’in- finito con cui ci giochiamo il senso dello spazio e lo proiettiamo nel corso del tempo. Così l’arte cessa di essere testimonianza immanente, specchio di un presunto mondo reale e si spez- za, si trasforma e si deforma, si moltiplica usurpando il piano noumenico per rendere conto di un altrove che trascende i sensi dell’uomo. Cessa di essere immagine per dive- nire arte, testimonianza resa attraverso una memoria che superi il semplice dato sensoriale per bussare alle porte dell’infinito. Il segno di- venuto immagine si trasforma così nel corpo spirituale e materiale dell’autore, che parla solo grazie a lei, attraverso di lei indaga ciò che lega il visibile immanente all’invisibile tra- scendente. Pur nella ricchezza espositiva, nel sovrapporsi di sensazioni diverse che non sempre accolgono l’occhio del visitatore con la medesima forza, si ha qui la sensazione di un percorso unitario, di un corpo compatto che si fa immagine nel ricordo di un percetto coeso, privo di sbavature. Percepire un insieme di- verso di sensazioni e materie attraverso un’u- nica esperienza, un unico sguardo, non è cosa da poco. Un arancio è composto da un certo numero di spicchi e il singolo frammento ri- specchia le virtù del tutto che si riflette nel sin- golo, ma l’immagine è unica, così come la pa- rola che lo definisce. Dalle opere degli anni ’70 sino ai lavori più recenti si percorre uno spazio che ci riporta sempre al centro di un labirinto virtuale composto dal corpo dell’autore, per metà Minotauro e per metà vittima sacrificale del suo stesso operare. Il pittore si dà con il suo corpo, diceva Paul Valery. Prestando il suo corpo al mondo, l’artista, novello Prometeo, trasforma il mondo in arte. Per comprendere fino in fondo questa sorta di transustanziazio- ne, bisogna ritrovare il suo corpo come ope- rante e attuale, non una porzione di spazio o un fascio di funzioni, bensì un intreccio di vi- sione e movimento. Così è l’arte, così e l’arti- sta. Ma il climax del lavoro di Federica, a mio parere, continua ad essere quella voluttuosa sintesi tra le trasparenze di una materia riscat- tata dalla sua opacità e la luce e il movimento che si sintetizzano in un’unica esperienza dello sguardo, un frammento visivo che racchiude in sé il completo viaggio di un’anima.